DAL PANOPTICON ALLE CARCERI MODERNE

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di ELISABETTA FESTA

In Inghilterra, nella seconda metà del ‘700, il numero dei reati commessi (all’epoca si finiva in carcere anche per la mancata restituzione di modesti debiti) era notevolmente aumentato. I governi tentarono di contrastare il fenomeno attraverso una feroce e puntuale applicazione della pena capitale e soprattutto attraverso la deportazione nelle colonie inglesi (principalmente in Australia, sede di confinamento etnico delle classi meno abbienti), sebbene (forse proprio per questo) comportasse, nella maggior parte dei casi, la morte dei prigionieri.

Molti intellettuali dell’epoca avevano già posto l’accento sulla crudeltà e l’insensatezza del sistema penitenziario inglese, condannando lo stato di umiliante e dolorosa disumanità in cui versavano i prigionieri. Da più parti si andava proponendo una riforma carceraria che prevedesse l’impiego dei prigionieri in lavori utili, oltre che per le casse dello Stato, anche per l’eventuale riabilitazione, l’introduzione degli insegnamenti religiosi finalizzati all’orientamento etico-morale dei prigionieri, una disciplina rigida non gratuitamente dolorosa, ed, infine, un ferreo isolamento che inducesse il pentimento e l’espiazione.

Jeremy Bentham

Proprio in questa corrente di pensiero s’inserisce Jeremy Bentham e il suo Panopticon, filosofo e giurista inglese del XVIII secolo, padre dell’”Utilitarismo”, (dal latino “utilis”, utile), dottrina filosofica di natura etica per la quale è “bene” o “giusto” ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili. Bentham fa dell’etica una scienza quantificabile introducendo il concetto di “algebra morale” o “calcolo felicifico”.

Il modello Panopticon non fu soltanto un semplice prototipo architettonico ma un vero e proprio metodo educativo/pedagogico. Questi non sarebbe altro che un carcere ideale, progettato in modo che le celle, disposte a raggiera, avessero pareti trasparenti davanti e dietro non sui lati, cosicché i detenuti non potevano vedersi e la luce consentisse al guardiano, posto su una torretta situata al centro dell’edificio simile a un faro, di osservare e controllare in ogni ora del giorno e della notte le loro attività. Il sorvegliante osservava i carcerati attraverso persiane schermate, le quali non permettevano a questi ultimi di sentirsi controllati. Questa strategia li costringeva a tenere comportamenti moralmente corretti (primo presupposto per un pentimento e ravvedimento), al punto che non era necessaria la presenza costante di un controllore, poiché la stessa struttura carceraria così come configurata garantiva da sola la massima sicurezza.

Bentham era convinto, infatti, che le percosse e le angherie, all’ordine del giorno nelle carceri, si potessero sostituire con l’isolamento e la pervasiva certezza che qualcuno ti osservava. Il modello carcerario “panottico” migliorò il trattamento dei detenuti, rappresentando anche  un tentativo di riabilitare velocemente soggetti per il ritorno in società e al lavoro. Si può discutere se il metodo dell’isolamento portasse davvero dei miglioramenti nella psiche e nella coscienza dei detenuti, inducendo in loro una revisione della condotta di vita, in ogni caso va riconosciuto a Bentham di aver provato a migliorarne la condizione, garantendo almeno una reclusione non violenta. (Fonte:“Bentham ed il Panopticon“ di Andrea Friscelli).

MODELLI SIMILI REALIZZATI

Il carcere (dismesso) dell’Isola di Santo Stefano

Ex carcere borbonico di Avellino

Costruzioni realizzate secondo i parametri del Panopticon sono poche, non soltanto in Inghilterra ma nel mondo. In Italia vi sono: il “Padiglione Conolly”, sito a Siena presso l’ex ospedale psichiatrico di San Niccolò. Originariamente destinato all’isolamento dei malati più gravi, negli anni ’90 del Novecento fu utilizzato dalla facoltà di Ingegneria dell’Università di Siena, oggi in stato di degrado; il carcere di Santo Stefano (isolotto contiguo all’Isola di Ventotene), costruito dai Borboni nel 1795, dalla forma semicircolare, che ha ospitato, tra gli altri, Sandro Pertini ex Presidente della Repubblica, recluso durante il regime fascista. La struttura carceraria fu dismessa nel 1965; il fossato del carcere borbonico di Avellino risalente al 1839, con un ponte levatoio che rafforzava l’isolamento della struttura; il carcere di Campobasso ancora in uso; il carcere “Le Nuove” di Torino.

Presidio Modelo Cuba

Anche in altre parti del mondo è possibile rintracciare strutture carcerarie simili: in Colombia vi è il Panopticon di Ibaguè; a Birmingham, Regno Unito, nella locale università, l’“Ashley Building”; a Cuba, nell’Isola della Gioventù, c’è il “Presidio Modelo”, in cui fu detenuto Fidel Castro.

Il “modello panottico” fu utilizzato anche per altre strutture, come, ad esempio, fabbriche ed ospedali, in particolare quelli psichiatrici. Il modello educativo era il medesimo: guarire il malato di mente con la tecnica della presunta o reale osservazione da parte di un operatore medico posto sulla torretta collocata al centro dell’edificio. E’ corrispondente l’ex ospedale psichiatrico “Miguel Bombarda” a Lisbona (Portogallo), costruito nel 1896 dall’architetto Jose Maria Nepomuceno. Oggi il padiglione di sicurezza è divenuto un museo psichiatrico.

LE PEGGIORI CARCERI NEL MONDO

Carcere di Nairobi Kenya

Ieri come oggi, purtroppo, la condizione dei sistemi penitenziari non è sostanzialmente cambiata, esistono ancora delle carceri, poche per fortuna, in cui la violenza supera di gran lunga la rieducazione. La prigione thailandese di “Bang Kwang Central” è un ennesimo esempio. Progettata per contenere massimo 3500 detenuti ne contiene in realtà 8000, di cui il 10% è nel braccio della morte. I prigionieri sono vessati dalle guardie notoriamente molto violente. L’Isola di Petak, meglio conosciuta come l’“Alcatraz” della Russia, ospita alcuni dei criminali più pericolosi del mondo. E’ stato appurato che dopo tre o quattro anni di permanenza in questo carcere la personalità si deteriora irrimediabilmente. Nel carcere turco “Diyarbakir” si vive una realtà raccapricciante, le condizione sono così estreme che gran parte dei prigionieri si impiccano per non vivere le gravissime persecuzioni, malgrado ciò, il governo locale, mostra indifferenza. Ancora, secondo la BBC, nella prigione di Nairobi, 12 detenuti sono costretti a condividere gabbie piccole e luride destinate ad un massimo di tre persone.

Cella del carcere Ucciardone (Palermo)

Nel mondo sono davvero poche le nazioni che possono vantare dei sistemi penitenziari definibili “civili”. Tra queste non c’è l’Italia, ripetutamente condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo per le condizioni in cui versano le nostre carceri sovraffollate, disumane e fatiscenti. Tra le peggiori, troviamo il carcere di Poggioreale a Napoli, “San Vittore” a Milano, “Ucciardone” a Palermo, “Regina Coeli” a Roma. (Fonte:www.metallirari.com)

CONCLUSIONI

Le politiche carcerarie e la qualità dei penitenziari indicano il grado di civiltà di uno Stato. Dal Panopticon ad oggi il problema del trattamento non violento e rieducativo dei carcerati resta irrisolto. A riprova di ciò, recenti dati dicono che in Italia il 70% dei detenuti che terminano di scontare la propria pena ricommette reati. (Fonte: Corriere della Sera.it “Data Room” Milena Gabanelli).

Siamo davvero sicuri di poterci definire una società moderna ed evoluta? A voi la risposta…..