IL WASHOKU E LA SUA ILLUSTRE ARTE

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di CIRO BENVENUTO

Il Washoku è riconosciuto dall’UNESCO come “Patrimonio dell’Umanità”. 

Il termine significa “pasto giapponese” (“wa” corrisponde all’ideogramma che rappresenta i concetti Giappone/Giapponese e armonia, mentre “shoku” equivale a pasto), riferito alle ricette che compongono la tradizione gastronomica del Paese.

E’ anche sinonimo di longevità, benessere e salute, qualità degli ingredienti, valenza estetica delle pietanze, rispetto della natura e ritualità del pasto, le quali pietanze vengono preparate secondo criteri di forma, colore, odore, sapore, “impiattamento” e stagionalità, fattori che giocano un ruolo fondamentale nella cucina tradizionale giapponese.

La fase di alta stagionalità di un cibo viene indicata con il termine “shun” che rappresenta il momento atteso, in quanto permette di ottenere la versione più gustosa e saporita del piatto. Esso segue principi equilibratori: dalla composizione di un pasto bilanciato (ichiju sansai”), all’ordine dei condimenti (“sa shi su se so”), ai metodi di preparazione (gomi goshoku goho”).

Iniziamo dall’”ichiju sansai” (che letteralmente vuol dire “zuppa e tre piatti di accompagnamento”), cui si accostano sempre riso e “tsukemono” (verdure sott’aceto giapponesi). Esistono altri schemi legati all’”ichiju sansai” differenziati a seconda del numero di piatti messi a tavola (ad esempio, “ichiju issai”, zuppa e un piatto di accompagnamento). Tutte le portate vengono condite in modo tale da controbilanciarsi con il riso che è scondito, lo scopo è mangiare le altre pietanze alternandole con quest’ultimo. I piatti che accompagnano riso, zuppa  e “tsukemono” sono definiti “okazu”, i quali a seconda della tipologia possono avere diversi nomi:

  • “Shusai”, piatto di accompagnamento principale a base di carne o pesce (fornisce proteine animali);
  • “Fukusai”, piatto di accompagnamento secondario a base di verdure e alghe (fornisce vitamine, minerali, fibre);
  • “Fukufukusai”, piatto di accompagnamento terziario a base di verdure e alghe (fornisce vitamine, minerali, fibre);
  • “Shushoku”, riso bianco (shiro-gohan o gohan), alimento principale (fornisce carboidrati, fonte di energie);
  • “Kouno mono”, “tsukemono” (accompagnano gli altri piatti rinfrescando il palato);
  • “Shiru”, zuppa di “miso” (fornisce proteine vegetali).

L’aspetto nutrizionale di questo pasto è costituito dal mix bilanciato di proteine, zuccheri e grassi, che favorisce la digestione e l’assimilazione degli alimenti.

Un’altra regola che guida la creazione dei piatti del “Washoku” è l’ordine con cui i condimenti vengono aggiunti alle pietanze, partendo dai più delicati per arrivare a quelli più decisi. Tale concetto culinario è indicato con le sillabe ricavate dei nomi degli ingredienti, “sa shi su se so”, ovvero:

  • “Sato”: zucchero
  • “Shio”: sale
  • “Su”: aceto
  • “Seuyu”: salsa di soia
  • “So”: miso

L’ordine, supportato da studi chimici, non è casuale ma frutto di anni di tradizione, solo seguendolo i sapori vengano esaltati.

Un altro dettame del “Washoku” è il “gomi goshoku goho”, i “cinque sapori, colori e metodi di servire” della cucina del Sol Levante, ovvero:

  • “Gomi”, cinque sapori: acido, amaro, dolce, piccante, salato;
  • “Goshoku”, cinque colori: blu, rosso, giallo, bianco, nero;
  • “Goho”, cinque metodi: servire crudo; cuocere a fuoco lento; arrostire, grigliare o bollire; friggere; cucinare a vapore.

Ognuno di questi cinque elementi può essere utilizzato singolarmente o integrato con gli altri. Più elementi vengono utilizzati, più il gusto e l’aspetto si avvicinano alla perfezione.

Per concludere, è opportuno dire che nel Washoku tutto è studiato per tendere al raggiungimento dell’”Umami”, (il quinto gusto) il cui significato è “saporito” (da “umai”, delizioso, e “mi”, sapore), la cui funzione equilibratrice è applicabile sia alla cucina asiatica sia ad altre tradizioni gastronomiche.