LA DIFFUSIONE DELLA CUCINA GIAPPONESE IN OCCIDENTE

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Laura di Palma "First Room Waiter" (Primo Cameriere di Sala) nella ristorazione giapponese

di CIRO BENVENUTO

Da alcuni anni il Sushi è arrivato in Occidente identificato come la “cucina giapponese”, ma in realtà non è proprio cosi. Sfatiamo questo mito.

Il Sushi è soltanto una delle tipologie caratterizzanti la cucina del Giappone, in effetti, a mio parere, vi sono anche altre forme dell’arte culinaria nipponica altrettanto gustose e complesse.

Le modalità preparatorie del Sushi sono così identificabili: Nigiri Zushi (polpettine di riso con pesce crudo sopra); Maki Zushi (“Sushi arrotolato”), il più comune in Occidente, avvolto in nori, foglie di alga esiccate che racchiudono gli ingredienti.

In base alla forma il Maki Zushi prende il nome di Hosomaki (“rotoli sottili”), rolls con alga nori all’esterno, riso all’interno e pesce; Futomaki, “rotoli larghi” rivestiti con alga nori ma con ingredienti che si completano a vicenda in gusto e colore; Uramaki (“rotoli interno-esterno”) rolls con riso esterno, due o più ingredienti all’interno con al centro l’alga nori.

Per adeguarsi maggiormente al gusto degli occidentali, i ristoranti giapponesi adottano il cosidetto approccio “fusion”, che rompe con la antica tradizione culinaria giapponese. Importato in Giappone dai missionari buddhisti cinesi nel sesto/settimo secolo dopo Cristo, la forma moderna del Nigiri Zushi risale all’inizio del XIX secolo. Fu il grande chef Hanai Yonei, nel 1820, ad inventare le polpettine di riso aromatizzate all’aceto con sopra fettine di pesce crudo.

Nella preparazione tradizionale il Sushi ha delle leggi di allestimento molto rigide. Infatti, per poter dirigere una cucina giapponense, in qualità di Sushiman, è necessaria una formazione di almeno 10 anni.

L’aspirante “Sushi shokunin” (maestro di sushi) nei primi 2 anni potrà soltanto osservare il proprio “maestro“, avendo come unica mansione il lavare i piatti. Dopo tale periodo di apprendistato gli sarà finalmente concesso di imparare la tecnica della cottura del riso e solo dopo altri 4 anni potrà acquisire l’arte del taglio del pesce. L’allievo può fare poche domande non ripetute, profonde e pertinenti, concernenti la “filosofia dei movimenti”, perché, come vuole la tradizione, chi osserva con attenzione coglie l’essenza.

Il Sushiman detiene, quindi, l’arte e la tecnica della congiunzione perfetta tra la sua anima, il riso e il pesce, al punto tale da far divenire il tutto inscindibile.