di ANTONIO SPOSITO

Le modelle e i modelli che vivono nel mondo surreale della moda hanno l’obbligo di essere magri, gentili e sorridenti.

Quando si presentano per una selezione spesso sono confusi e intimiditi da chi li pretende filiformi, quasi trasparenti, come una sorta di ectoplasmi o di ologrammi.

Molti di coloro che si avvicinano al mondo platinato della moda vogliono appartenervi ad ogni costo, adattandosi alle imposizioni che inducono all’autolesionismo in termini di stile di vita alimentare, le quali conducono sopratutto le ragazze all’anoressia o a gravi disturbi clinici.

Una modella o un modello che si discosta  dalle dimensioni standard stabilite dall’establishment dell’alta moda deve considerarsi out, anche se in misura minore quest’ultimo utilizza “modelli plus size” come espediente per catturare maggiori quote di mercato.

Nel problematico “gioco” dell’adattamento sociale, il conformismo “costringe” la maggioranza degli individui, presenti in una determinata società, attraversata da un particolare periodo storico, portatrice di una specifica cultura, a “essere alla moda”.

Nell’individuo medio occidentale attuale, infatti, è diffusa la convinzione che per trovare una collocazione visibile e di successo occorre essere anche abbastanza magro, come se fosse costantemente su una passerella, a fronte di una pubblicità aggressiva che invita in modo schizofrenico a consumare alimenti ad alto contenuto calorico.

Nel valutare costi e conseguenze rispetto ai vantaggi indotti dall’assumere condotte rischiose per la propria salute fisica, psichica e sociale, il problema individuale e collettivo che emerge, risiede nel porsi l’interrogativo su quale sia il ragionevole limite nel preservare se stessi.

E’ saggio intraprendere una attività pericolosa  per ottenere qualche vantaggio materiale ed immateriale da essa? Chi ha il diritto di trovare la responsabilità in un essere umano che decide di godere di una scelta che implica conseguenze nefaste?

Possiamo soltanto esercitare il diritto-dovere di critica, magari indignati, verso esseri umani sedotti dalle sirene del “successo”, accecati dal desideri, aventi minime capacità previsionali e di tutela di se stessi, i quali si ritrovano poi distrutti dagli incantesimi offerti dai piaceri momentanei.