“X FACTOR”: L’IMPATTO DELLA “GENERAZIONE X” SULLA SOCIETA’ POSTMODERNA

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di ELISABETTA FESTA

Ci chiamano “Generazione X” o “X generation”. Siamo nati negli anni negli anni compresi tra il 1965 e il 1980 e oggi abbiamo tra i 45 e i 60 anni.

La generazione arrivata dalla crisi energetica e dall’austerity, quella che ha inventato la parola “ecologia”, dei ragazzi confusi in balia degli eventi, compressa tra il terrorismo “rosso” e quello “nero”, spettatori inermi degli anni di piombo.

Siamo la generazione cresciuta in mezzo alla strada, la generazione dell’estate. Quando arrivava non ci fermava più nessuno, la si trascorreva a giocare nel cortile di casa, con gli amici del condominio e del quartiere, con la mamma che preparava la merenda a tutti, puntuale alle 17.00 di ogni pomeriggio.

Quando ogni giorno era nuovo ed era unico, quando ci si divertiva con poco, quel poco sconosciuto alle nuove generazioni, quel poco che a noi invece bastava anzi ci rendeva felici. Quando si cresceva per traguardi e obiettivi, attraverso gli sguardi genitoriali punitivi, (ne bastava uno per capire che si stava sbagliando e che si doveva rientrare nei ranghi) e ai sermoni, pregni di insegnamenti che ancora ci accompagnano e indicano le strada.

Siamo la generazione forgiata da una società difficile che non ha vissuto la povertà economica della guerra come i Baby Boomers (’40–’60) ma quella sociale, psicologica (forse le peggiori), il dilagare del fenomeno della tossicodipendenza che in quegli anni devastò giovani e famiglie. Con i tassi di divorzio che crebbero enormemente e che crearono ambienti e relazioni familiari conflittuali.

Siamo la generazione della disoccupazione, del precariato, che ha visto attraversare il mondo da cambiamenti epocali, dirompenti rispetto al passato: la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’attentato al Papa, i mondiali di Pablito e il presidente Pertini, l’indimenticabile notte con la coppa alzata al cielo di Dino Zoff, il disastro dello Challenger, la cometa di Halley, il disastro di Chernobyl, le manifestazioni di piazza Tien an men, la tensione internazionale tra Usa e Urss e lo scudo spaziale, ecc.

Siamo quelli costretti a sposarsi solo dopo i 30 anni, a lavorare prima di finire gli studi, quelli colpiti dalla sindrome del ritardo, obbligati a rimanere a casa di mamma e papà fino ai 40 anni.

Ci definiscono gli “immigrati digitali“, quelli nati prima di Internet e cresciuti con Internet, costretti a passare dalle chiamate infinite effettuate dalle cabine telefoniche ai cellulari. Ma siamo anche gli “immigrati musicali“ che hanno usato sia le cassette che i cd. Siamo quelli del boom delle sale giochi e del Commodore 64, la generazione MTV, della Milano da bere, dei paninari e dei metallari ma anche quelli del Giubileo del 2000, quelli con la paura della guerra del Golfo, concreti ma anche sognatori, idealisti con le frasi di Jim Morrison sul diario e i poster di James Dean in cameretta.

Siamo quelli delle canzoni intorno al fuoco con la chitarra e del karaoke, quelli dei walkman in tasca e con la gelatina sui capelli, la generazione delle proteste pacifiche e dell’occupazione delle scuole, delle chiese piene di ragazzi. Quelli vissuti quando tutto era possibile, anche che una cameriera sconosciuta al minimo salariale potesse diventare la numero uno della musica pop mondiale e chiamarsi Madonna.

Siamo la generazione cresciuta con i film più belli di sempre, con la fantascienza di “Ritorno al futuro” e l’avventura di “Indiana Jones”, l’azione di “Arma Letale” e “Rambo”, con i cult “Nove settimane e mezzo”, “Full metal jacket” e “L’attimo fuggente”, “The day after” che scioccò l’America e il mondo.

Siamo quelli arrivati prima dello streaming online e on demand, con le serie tv infinite trasmesse dalle nascenti reti private, costretti ad aspettare un giorno o addirittura una settimana per vedere la puntata successiva. Quelli cresciuti con l’A-Team, con il boom di Dallas e Dynasty, con “Il tempo delle mele” (la love story più bella di sempre), con le risate dei Robinson e dei Jefferson, di Arnold e della Famiglia Addams. Quelli col mito di Fonzie di Happy days, ma anche della “Casa nella prateria” e di “School of performing arts” (Saranno famosi).

Siamo quelli dei supereroi leali e buoni, “L’incredibile Hulk”, “La donna bionica”, Wonder Woman, Zorro, Sandokan e Tarzan.
La generazione dei poliziotti: Poncharello e John Baker dei Chips, Starsky e Hutch, Colombo e Miami Vice. Quelli dei miti italiani come “I ragazzi della terza C”, “Classe di Ferro”, “Love me Licia”. Dei programmi tv Drive In, Indietro Tutta, Quark, Colpo grosso, Portobello, 90° minuto, dei cartoni animati come Goldrake, Jeeg robot d’acciaio, Il grande Mazinga, Mazinga z e dei cartoni “Shojo” sui sentimenti come Candy Candy, Lady Oscar, Dolce Remi, Heidi, Bia.

Siamo quelli dello sport dei record e dei sogni, della “mano di Dio” che fermò gli inglesi, di Borg cinque volte consecutive sul trono di Wimbledon, dell’oro di Mennea sui 200 alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, della volata nei 10.000 del baffo di Alberto Cova, del grande Alberto Tomba, dei fratelli Abbagnale con le telecronache di Galeazzi, di Michael Jordan che guida la Nazionale di basket USA al successo olimpico, di Niki Lauda che vince il Mondiale di Formula 1.

Siamo la generazione che giocava a pallone con il SuperSantos, col “cubo di Rubik”, al Subbuteo e Biliardino, a Risiko e Monopoli, che mangiava prodotti pieni di coloranti e conservanti, la “girella Motta”, che andava in bici con le bellissime Bmx e in moto sui mitici “cinquantini” come il Ciao, il Sì, la Vespa Px. (Fonte: Pietro Guida)

Sappiamo che la società muta ed evolve grazie al susseguirsi di generazioni, ognuna con le proprie peculiarità e influenze culturali. Chi ha vissuto la nostra epoca rappresenta una generazione fra le tante, altre ce ne sono state prima e altrettante ce ne saranno dopo, ma per noi quegli anni restano unici ed irripetibili. Chiamarci “X generation” è riduttivo.

Ci siamo sentiti una generazione perduta ma mai arresa. Abbiamo cambiato mille lavori ma oggi siamo il mondo del lavoro (circa il 60% dell’attuale forza lavoro). Siamo stati la generazione invisibile ma il mondo ci ha visto e continua a imparare guardando indietro, abbiamo rifiutato i valori del passato ma mai i valori.

Citando Max Pezzali nella mitica “Gli anni” resteremo quelli delle: “…Immense compagnie, degli anni in motorino sempre in due, … degli anni di qualsiasi cosa fai, gli anni del tranquillo siam qui noi”.. ma purtroppo anche quelli de: “Il tempo passa per tutti lo sai, nessuno indietro lo riporterà, neppure noi”.