di ANTONIO SPOSITO
Al di là dell’effetto provocatorio, la frase «Il Green Pass rende liberi» – parafrasi non casuale di «Arbeit macht frei» (il lavoro rende liberi), presente all’ingresso di alcuni campi di sterminio nazisti – va collocata nell’attuale contesto storico, politico, economico e sociale in cui siamo immersi.
Il Green Pass è una delle conseguenze della «società del rischio» e dell’incertezza.
Ad esso viene attribuita una valenza educativa, una via verso la «virtù». E’ una dichiarazione «mistica» in relazione alla quale inoculare innumerevoli dosi di vaccino a oltranza a persone sane, i cui effetti collaterali sono ancora sconosciuti, soprattutto nel medio e lungo periodo a causa di un deficit di sperimentazione, appare come una falsa e illusoria promessa di libertà e di salvaguardia più platonica che sostanziale. Ai cittadini andrebbe spiegata la verità, ossia, che attraverso il vaccino è impossibile raggiungere l’«immunità di gregge» e che il coronavirus ci accompagnerà per molto tempo ancora e che probabilmente diventerà endemico. La dimostrazione è l’aumento dei contagi anche tra vaccinati con due e tre dosi.
La pseudo libertà ottenuta grazie al Green Pass e al vaccino è diventato ormai uno stereotipo diffuso e confuso.
Secondo la maggior parte dei governi mondiali c’è soltanto una strada da percorrere fatta di obbedienza, ordine, pulizia, amore retorico per gli altri, ma la «mistica» della dedizione e del sacrificio richiesta ai cittadini non è altro che la copertura di una irremovibile razionalità strumentale in dote al potere che si impone. Gli stessi governi che pur di non arrendersi, guidati dalla sete di dominio dell’umano sulla natura, nel tentativo di sconfiggere l’epidemia, la quale dopo due anni viene definita ancora in modo grottesco «emergenza», restano prigionieri di un delirio di onnipotenza che offende il senso della libertà conquistata storicamente con il sangue.
Le «lobby», a tutela dei propri interessi particolaristici, consolidano il potere totalitario del controllo creando un clima di isteria collettiva, riducendo gli spazi di libertà, confondendo le masse per impedire che diventino «soggetto» attivo della vita politica in grado di autodeterminarsi e autodirigersi anche al cospetto di una emergenza. Storia docet. Interessi particolaristici compresi tra la logica utilitaristica economica (ruotante intorno ai costi dei tamponi e dei vaccini che producono profitti) e le ragioni «superiori» della missione storica e politica dei governi (affetti dalla sindrome nevrotica del »salvatore) che devono produrre consenso ad ogni costo per riprodursi al potere.
Altre attività di lobbying finalizzate all’implemento dell’audience, sono realizzate dai mass-media, i quali rispetto alla reale entità statistica dell’emergenza sanitaria diffondono allarmismi abnormi creando insicurezza nelle masse che così possono essere eterodirette, suggestionate, sedotte, persuase in modo subdolo, subliminale. Masse che, in tal modo, si predispongono ad assumere la «mentalità di gregge» accettando il ricatto pur di essere «salvate». Stiamo assistendo allo spettacolo di cittadini terrorizzati che cedono diritti e libertà in cambio di una apparente protezione, processo già in atto da tempo che la pandemia coronavirus ha ancor di più evidenziato. Chi è pratico del mestiere di giornalista sa bene che la stessa notizia fornita in modalità diverse produce effetti emotivi e cognitivi differenti.
Il vilipendio del dissenso politico delle minoranze nei confronti del Green Pass e del vaccino – in cui è caduto persino il Presidente della Repubblica Mattarella – è, a prescindere dalle specifiche appartenenze partitiche, un fenomeno trasversale di stampo autoritario e fascista. Ridicolizzare con meticolosità studiata la minoranza di cittadini definiti impropriamente «no-vax» segregandoli in «lager» esistenziali, è un atto grave e lesivo dei diritti delle persone soprattutto nelle democrazie. Cittadini che allo stesso modo dei «sì-vax» si impegnano ogni giorno a far funzionare la società, che sono chiamati a votare, che pagano le tasse, che non sono trogloditi ignoranti. Basti ricordare le resistenze e i dubbi verso il vaccino emerse in diversi campi della conoscenza e delle professioni manifestati da donne e uomini di scienza, persino da quelli operanti nel settore sanitario.
Il rischio preoccupante che si corre nel mettere i cittadini gli uni contro gli altri è «frantumare» ancor di più una società già dilaniata da conflitti di vario genere, da altissimi tassi di precarietà e «anomia», la cui ricomposizione futura non è così scontata.