HAKAN SUKUR E L’ECLISSI DELLA DEMOCRAZIA

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Hakan Sukur

di GIORGIO LONGOBARDI

Vivere nel pieno di una certa etica comportamentale e valoriale rappresenta il punto massimo di una consapevolezza che non ha bisogno di attenzioni (spesso) compiacenti. Uno stadio che, oggi come oggi, dovrebbe essere alla portata di tutti grazie a una reciprocità foraggiata da una marcata evoluzione individualistica, nitida espressione di un percorso disseminato di episodi e conquiste seminali in grado di dare un volto rassicurante alla realtà dentro e fuori di sé. Un fine lodevole e mutualmente accettabile, quindi, che però non manca di palesare delle acute criticità sociali a causa delle brusche sollecitazioni che la frammentazione contemporanea non cessa di partorire. E quando ci si sente oppressi da un qualcosa che impedisce la propria libertà d’azione e di pensiero senza mezzi termini, occorre correre ai ripari facendo leva su quella spiccata voce interiore che accomuna ogni potatore sano di coscienza.

Il declino di Hakan Sukur

C’è stato un momento in cui la Turchia, nazione famosa per la sua dignitosissima tradizione sportiva legata al basket, alla lotta e al sollevamento pesi, ha conquistato i palcoscenici internazionali proponendo una classe calcistica capace di affermarsi su ogni fronte. Il culmine di una simile generazione d’oro è individuabile, senza paura di smentita, nel terzo posto dei Mondiali di Giappone e Corea del Sud del 2002; e tra gli eroi di quella magnifica impresa c’era anche Hakan Sukur, il quale ha un trascorso professionale legato persino all’Italia per via delle esperienze con le maglie di Torino, Inter e Parma.

Un pedigree da leggenda, in totale antitesi con l’attuale stato dell’ex attaccante nativo di Adapazarı che lo vede costretto a fare l’autista Uber per le strade di Washington e a vendere libri. E i motivi che hanno animato questa pesante débâcle esistenziale sono decisamente strazianti.

La morsa di Erdogan al concetto di democrazia

Una volta appese le scarpette al chiodo, Hakan Sukur ha intrapreso la carriera politica schierandosi al fianco di Recep Tayyip Erdogan e del suo partito, l’AKP. L’idillio in questione, però, è durato poco (nonostante l’elezione come parlamentare nel 2011), quasi a certificare una sottile quanto evidente divergenza di vedute che negli anni a venire ha fortemente condizionato lo stile di vita dell’ex atleta turco.

Difatti, da quel momento Hakan Sukur ne ha viste di cotte e di crude subendo accuse, minacce varie e intimidazioni trasversali abili nel minare – seppur in maniera parziale – la credibilità e l’integrità di un uomo votato all’accezione positiva del senso di appartenenza. E l’unico auspicio che lo stesso protagonista di questa vicenda surreale sente di dover rivolgere al presidente turco risiede nel ritorno alla democrazia, alla giustizia e ai diritti umani. Perché manifestare interesse nei confronti dei problemi del popolo garantisce una forma di consenso genuina la cui centralità consente di gettare le basi per un governo equo e duraturo.